In questo periodo di vita domestica forzata abbiamo portato avanti dei video-colloqui con alcuni dei ragazzi che seguiamo e abbiamo potuto constatare come le video-lezioni, soprattutto, ma anche i compiti assegnati via e-mail o mediante piattaforme dedicate li abbiano in un certo senso responsabilizzati e attivati.

Certo, non in tutti i casi, ma quel che ci pare di capire, anche confrontandoci con genitori e docenti, è che la percentuale di studenti che sono stati attivati da queste nuove modalità didattiche supera quella di coloro che invece hanno deciso di non studiare, svolgere i compiti o seguire le v-lezioni.

Perché questo?

Immaginando che sia una conclusione generalizzabile, i ragazzi a cui abbiamo chiesto di darci una spiegazione ne hanno al momento fornite tre:

  1. Possono distrarsi senza incorrere in richiami: basta infatti ammutolire il microfono, disattivare la webcam o addirittura fingere che il segnale wifi sia diventato scadente e uscire per qualche minuto dalla partecipazione alla v-lezione.

Il lato positivo: in questo modo i ragazzi non si innervosiscono tanto quanto accade a scuola, dove mettono in atto comportamenti disturbanti. Inoltre, camuffare e nascondere la loro distrazione ai docenti, permette loro di evitare che adulti e pari interferiscano nella regolazione del loro livello di attenzione e comportamento. In questo modo si assumono una maggiore responsabilità verso se stessi e gli altri. La didattica a distanza quindi, lasciando più libertà ai ragazzi, può stimolarli a esercitarsi/allenarsi su come usarla, in un contesto comunque limitato e protettivo come quello istituzionale e presidiato del gruppo classe.

  1. Possono pensare di ingannare i docenti: in caso di interrogazioni o verifiche basta preparare dei post-it da appiccicare ai bordi del monitor o creare mappe e schemi da tenere accanto a sé in caso di bisogno.

Il lato positivo: questi ragazzi scoprono, riflettendo insieme a me, che nella maggior parte dei casi non consultano tali dispositivi….perché?

Perché per produrli e renderli effettivamente utili, hanno dovuto studiare, ovvero: leggere attentamente il testo, coglierne le parti principali, capire le formule e i contesti in cui applicarle…Il risultato è un rinforzo della motivazione ad apprendere.

Si tratta di studenti che molto difficilmente riuscivano a studiare con efficacia, credendo di non poter ottenere dei risultati grazie al loro impegno. Negli anni di scuola si sono convinti che le valutazioni alle loro prestazioni derivino più dal caso o dalla preferenza degli insegnanti; ai loro occhi studiare è una fatica del tutto inutile e assurda, che sicuramente li lascerebbe sempre più frustrati e magari col dubbio di essere meno intelligenti o di avere qualcosa che non va nei confronti dei compagni.

Usare degli escamotage senza poter essere scoperti e puniti, può far intravedere ai ragazzi la possibilità di fare qualcosa in prima persona per ottenere dei risultati e sentirsi competenti come gli altri.

  1. Possono collaborare con altri compagni usando un’altra piattaforma mentre si è interrogati, ma soprattutto durante le verifiche. La collaborazione presuppone lo studio a turno (ma non ci si affida mai fino in fondo al solo compagno; magari non in modo approfondito, ma si studia tutti), oppure la suddivisione di parti da studiare in modo da potersele suggerire di nascosto, ma anche qui si studia tutti e tutto, per non essere troppo “appesi” agli apprendimenti degli altri.

Il lato positivo: questo escamotage, oltre a rinforzare il senso di autoefficacia, rivitalizza il ruolo del gruppo e della complicità tra pari, così importante per la crescita dalla preadolescenza in poi.

Ascoltando i ragazzi e le loro esperienze scolastiche ai tempi del COVID-19 ci sembra di poter ipotizzare (o forse sperare) che la didattica a distanza li stia aiutando a rivitalizzare la motivazione ad apprendere e stare con gli altri.

Cosa abbiamo quindi imparato e come possiamo prepararci al ritorno alla normalità?

Il gruppo classe può essere valorizzato, nell’ottica di una didattica cooperativa.

Il gioco di squadra può diventare predominante rispetto a uno studio individuale, tendenzialmente riproduttivo e ammiccante più alla sfida tra studenti che alla collaborazione.

Sempre più ragazzi oggi lamentano infatti il clima di competizione che percepiscono nella società e anche nella loro classe, in cui spesso i docenti (ma anche i genitori a casa) vengono descritti come più interessati alla prestazione individuale che al benessere e al successo collettivo.

Stare in classe può quindi amplificare il timore di apparire inadeguati come studenti e compagni di classe e questo – senza che vi sia magari alcun fenomeno evidente di bullismo – può far sentire esclusi. Per alcuni è così che la scuola e il gruppo diventano un ostacolo insormontabile alla crescita, tanto da portare al ritiro sociale.

Il docente può affermarsi come mediatore esperto dell’apprendimento e dei processi cognitivi, affettivi e sociali che lo regolano. I ragazzi potranno così “imparare a imparare” sviluppando le loro competenze di ricerca, elaborazione, condivisione e analisi critica dei contenuti, più che alla loro mera memorizzazione. Da non sottovalutare è l’uso di mappe mentali e schemi, oggi per lo più riservato solo agli studenti con DSA.

La valutazione formativa può essere finalizzata a rispecchiare i punti di forza e quelli ancora da sviluppare, soprattutto riguardo alle competenze trasversali, cioè quelle comunicative e di problem solving, affettive e relazionali.

La scuola potrebbe così aiutarli a crescere come persone a tutto tondo e prepararli a diventare adulti in un mondo sempre più imprevedibile e complesso, in cui, come in questi giorni, più che la disponibilità a ripetere e fare ciò che qualcun altro ha detto, è quanto mai importante alimentare la fiducia in se stessi e la creatività per continuare a nutrire il nostro presente e il nostro futuro.

 

Redazione OFFICINE