Già in tempi ordinari, vivere una diagnosi di malattia grave è un’esperienza devastante, traumatica, che sbalza fuori dal flusso vitale e catapulta nella paura della sofferenza e della morte; le persone che chiedono aiuto per riuscire a superare l’angoscia, sono accompagnate in un lavoro molto faticoso di riequilibrio di sé, che consiste nell’imparare a vivere nel presente, senza per questo smettere di avere una progettualità.
I tempi complicati che stiamo vivendo a causa dell’emergenza COVID-19 ci impongono non solo di recuperare lucidità e serenità di giudizio, ma anche di trovare dentro di noi quel punto di equilibrio che consente, come in molte altre vicende umane di tipo traumatico, di non soccombere all’emergenza e all’incertezza.
Tutto questo diventa ancora più difficile per le persone ammalate e le loro famiglie.
Da giornali e trasmissioni televisive ci giunge quotidianamente chiaro il messaggio di quanto il COVID-19 sia pericoloso per le persone che vivono altre patologie.
Proviamo a immaginare quale stato di tensione emotiva possano sentire queste persone, i loro caregiver, i figli adolescenti e i giovani adulti, cosa possa significare doversi recare in ospedale per le cure e poi vivere in isolamento a casa per l’impossibilità dei famigliari di fermarsi troppo tempo, a causa del rischio di contagio.
Il caregiver, che già in una situazione ordinaria può essere interamente assorbito dal compito di prestare assistenza, oggi sotto la pressione di una minaccia grave e incombente, rischia ancora di più di smarrire l’equilibrio tra le risorse personali che mette a disposizione della persona ammalata e la cura di sé, necessaria per mantenere una condizione psicofisica sostenibile. Di norma questo si traduce in un disagio psicologico, che può portare a situazioni di sofferenza grave e burnout, con ripercussioni anche sul benessere della persona ammalata. Possiamo facilmente immaginare, ad esempio, come l’emergenza renda complesso anche il solo andare a fare la spesa, con il rischio che il rientro a casa – dove vive la persona immunodepressa – comporti un pericolo maggiore rispetto a una famiglia dove non c’è alcuna patologia.
Il tutto si complica ulteriormente per il caregiver, quando gli sforzi di accudimento svaniscono perché il proprio caro viene messo in isolamento con il divieto assoluto di vederlo.
La distanza dagli affetti è ciò che contrassegna la condizione umana più dolorosa dell’attuale emergenza.
L’umanità che ci accomuna al nostro prossimo ci permette di sentire che il mondo che abbiamo vissuto e goduto continuerà a vivere e a essere amato da coloro che amiamo di più. Adesso l’impossibilità, anche solo guardandosi negli occhi, di scambiare questo sentimento vitale, sia pure in una condizione di paura della morte, rende immensamente drammatico accogliere l’ineluttabilità della condizione umana.
In questo momento può sorreggerci la fiducia che gli affetti che hanno dato senso alla nostra vita restino vivi fino alla fine. Per chi resta la memoria del passato continuerà a costituire una parte importante della propria identità.
Per le famiglie con figli lo scenario cambia a seconda della loro età.
Se sono presenti bambini è importante, ad esempio, tenere a mente che per loro è fondamentale essere messi al corrente della situazione, sempre con il rispetto dell’età e possibilmente usando il loro linguaggio, in modo da non lasciarli soli di fronte a emozioni che pervadono il clima famigliare senza la possibilità di condividerle e dare loro un nome e un significato.
Nel caso di figli adolescenti, gli scenari possono essere molteplici perché le emozioni e i modi di rispondere ad esse sono innumerevoli e legati alle varie sfaccettature di un’età fatta di profondi cambiamenti fisici e psicologici.
È necessario quindi, in questo periodo più che mai, riorganizzarci per riuscire a ritrovare il concetto di speranza e di futuro che è la base per transitare nella crisi riconoscendo le emozioni che comporta, ritrovando la progettualità necessaria per riparare la ferita imposta dal trauma e ritornare alla vita.
Redazione OFFICINE