Come cambia l’apprendimento ai tempi del Covid-19.

In questi giorni di quarantena forzata si è verificato un vero e proprio cambiamento nella modalità dei bambini di concepire il loro essere scolari.

Nella mente dei più piccoli le tante ore di isolamento sociale, le nuove modalità di rapportarsi agli impegni quotidiani, la presenza contemporanea e costante dei genitori, la trasformazione in “altro” di tutte le attività sportive e ricreative pomeridiane comportano inevitabili aggiustamenti, creando sì confusione, ma anche nuovi modi di imparare le cose.

In seguito alla prolungata chiusura delle scuole si assiste, in primis, ad una perdita dei punti di riferimento importanti per l’apprendimento e per la crescita.

I maestri e le maestre della scuola primaria, infatti, ricorrono prevalentemente alla classica forma dei compiti assegnati per casa, lasciando poco spazio alle lezioni virtuali. Questo sembra essere dovuto alle difficoltà nell’uso dell’interfaccia tecnologica, sia da parte di alcune realtà scolastiche, sia da parte di alcune famiglie.

In questo scenario, la lontananza degli insegnanti è quindi uno dei principali motori del cambiamento nella motivazione scolastica dei bambini: è una distanza fisica e reale, che comporta un riassestamento dei processi di apprendimento del bambino, a partire dalla sua disponibilità ad accedere ai nuovi contenuti.

 

Nei panni di un bambino.

Proviamo a immaginare di essere un bambino di terza elementare che deve imparare un concetto nuovo: le frazioni decimali oppure un complemento di analisi logica. Come potrà attivare l’apprendimento tenendo conto della distanza dei maestri? Certamente gli insegnanti si attiveranno per aiutarlo, ma come potrà il bambino affrontare i nuovi argomenti con una guida distante?

È oggetto della psicologia dell’età evolutiva e scolastica evidenziare come il bambino nell’apprendere abbia bisogno del contatto con una mente adulta.

La mente adulta formata, la maestra, svolge un’azione di insegnamento nel momento in cui funge da guida rispetto agli obiettivi da raggiungere (le conoscenze), sostiene gli aspetti emotivi coinvolti nel processo di apprendimento (le paure e gli entusiasmi), monitora le strategie messe in atto nel percorso e valuta i risultati. Queste sono soltanto alcune delle numerose funzioni che l’adulto-insegnante svolge quando affronta il compito di insegnare. Ad esse, corrispondono altrettante funzioni della mente del bambino, il quale si sentirà guidato lungo un sentiero sconosciuto e potrà provare paura o sicurezza a seconda della sua stabilità interna e del rapporto con l’ambiente (insegnanti, compagni) di apprendimento.

Lo stesso bambino, affiancato dalla mente adulta, sarà portato a mettere in atto strategie più o meno efficaci per raggiungere gli obiettivi e si sentirà più o meno valorizzato dal giudizio finale sul suo operato.

Ma in questo momento la maestra non è contattabile, perché si fa sentire attraverso un report settimanale scritto o registrato oppure, nel migliore dei casi, è “incontrabile” su una piattaforma poche volte a settimana, riducendo la sua presenza ad un quadratino parlante sul tablet.

Che cosa farà il nostro bambino di terza elementare, lasciato in solitudine al cospetto del fisiologico impulso a risolvere un problema, ad arrivare in fondo e concludere, per poi darsi ai giochi? Che cosa farà se non avrà chiare le frazioni decimali?

Certamente per affrontare e poi superare questa impasse, il bambino dovrà trovare delle alternative, rispetto a come si comporterebbe in classe.

È facilmente intuibile che il rischio di una demotivazione di fronte ad un ostacolo sentito come troppo grandioso per essere superato sia una prospettiva non certo rosea ma purtroppo verosimile.

Sono molti infatti quei bambini che prima procrastinano e poi rinunciano a focalizzare l’attenzione per tanti giorni consecutivi sui compiti da svolgere in solitudine.

In una migliore prospettiva, la soluzione più immediata che in genere i bambini fiduciosi degli adulti trovano è chiedere aiuto a loro, a quelli vicini e raggiungibili, ai genitori, che in questo momento di emergenza lavorano da casa, nella stanza attigua a quella del bambino e che, presumibilmente, tollerano con fatica le continue interruzioni che comporta insegnare ad un bambino.

E se anche il bambino ha la fortuna di avere un genitore che ricorda esattamente il concetto richiesto, non è detto che l’adulto sia in grado di trasmetterlo correttamente a suo figlio.

La cosa più frequente che può verificarsi infatti è che si intromettano altri piani della relazione genitore bambino. Concetti anche banali possono scatenare accesi confronti se il genitore non raggiunge subito l’obiettivo sperato, così come far scaturire ferme prese di posizione del bambino che pretende che le informazioni gli vengano passate in un certo modo, “proprio come fa la maestra”. Naturalmente la frustrazione per entrambi è dietro l’angolo e la vicinanza eccessiva diviene controproducente.

 

Modelli, non maestri.

 Innanzitutto, la presenza del genitore in casa costituisce, in questo momento di precarietà, una fonte di rassicurazione per il bambino, che ha sempre a portata di mano la conferma che la propria mamma o papà stiano bene: diverso è certamente per quei bambini che hanno la sfortuna di aver un genitore ammalato o di sapere che un nonno sta rischiando la vita a causa del virus.

In linea di massima, il genitore diventa un compagno di giochi, il proprio insegnante, insomma un punto di riferimento costante per tutte le attività e le eventuali preoccupazioni quotidiane.

Inoltre, quando il genitore si impegna sul fronte scolastico, i bambini hanno l’occasione di vedere “in diretta” e sotto i loro occhi come un adulto cerca di recuperare delle informazioni per richiamare alla mente un concetto che gli serve. Navigare insieme su internet, cercare e visionare un video, consultare un vocabolario, telefonare ai nonni per sentire il loro contributo su un tema, sono strategie in genere a cui i bambini dedicano poco tempo, perché normalmente hanno già in serbo “quello che ha detto la maestra” e se lo fanno bastare.

Sappiamo come i bambini apprendano attraverso il modeling, cioè acquisiscano conoscenze attraverso l’osservazione e l’imitazione dei comportamenti altrui, in particolare delle persone adulte di riferimento. Il genitore ha allora una preziosa occasione per proporsi come esempio umano di come si ricordano e imparano le cose, anche se per lui sarà per la seconda volta.

Lungi dal correre il rischio di sostituirsi alle maestre come nuovo docente del bambino, il genitore può invece avviare un laboratorio esperienziale su come si sta in relazione con il non sapere/non ricordare, il nuovo/già sentito ma non mi ricordo bene, che segnalano un vuoto difficile da affrontare in solitudine.

Ecco che quel legame con le maestre che si è costruito nel tempo tra i banchi di scuola e che ha bisogno di essere coltivato e mantenuto seppur a distanza, viene modificato e arricchito. I bambini hanno sempre il bisogno di sentire la presenza delle loro maestre e dei loro maestri, ma sono aiutati a traghettare verso modalità di apprendimento diversificate, che non per questo fanno paura o non fanno imparare.

 

Redazione OFFICINE